venerdì 4 luglio 2014

100 Happy Days: challenge accepted


Puoi essere felice per 100 giorni di fila?
(E perché agli altri dovrebbe importarne qualcosa?)

Il sito www.100happydays.com lancia la sfida a chiunque voglia coglierla: trovare – per 100 giorni consecutivi – qualcosa che ci renda felici. Mica cose di chissà che rilevanza: a volte basta un buon caffè, il sole dopo giorni e giorni e giorni [...] di pioggia, un'alba spettacolare quando ci tocca alzarci troppo presto al mattino, la compagnia giusta, il divano alla fine di una giornata faticosa (sarà una caso che nei miei 100happydays il divano compaia più di una volta? E che mi sono limitata, perché non volevo essere ripetitiva).

In fondo, cosa c'è di meglio del divano a fine giornata?

E di una copertina quando fuori fa freddo? Magari il tutto accompagnato da un bel film e un pacco di Abbracci (i biscotti! Ma se poi sono veri e propri abbracci ancora meglio)

Ma non divaghiamo!
Si parlava della sfida (ne parla anche Wired qui), lanciata da un certo Dmitry Golubnichy a tutti i cinici della terra. Basta registrarsi sul sito (la registrazione comunque non è obbligatoria o vincolante del tipo che altrimenti non potete assolutamente partecipare) e utilizzare l'hashtag ufficiale #100happydays (o anche uno personalizzato) per far sapere a chiunque cosa ci rende felici.
Vita frenetica, agenda incasinata, poco tempo per apprezzare le belle cose che ci capitano. E via così, la negatività avanza, il pessimismo cosmico diventa parte integrante del nostro modo di vivere, ci impigriamo, ingrigiamo e intristiamo.
E allora andiamo alla ricerca di lati positivi!

Pare che oltre il 70% di chi ci ha provato abbia poi abbandonato la sfida, probabilmente per mancanza di tempo. Può essere: in più di un'occasione sono stata sul punto di non pubblicare nulla sul mio account Instagram (dove ho raccolto questi 100 happy moments). Altre volte invece ero talmente presa a vivermeli, quegli happydays, da dimenticarmi di scattare una foto. Ma dato che non c'è una giuria pronta a decapitare i ritardatari... bastava poi pubblicare qualcosa il giorno dopo (possibilmente legato al giorno appena passato ovviamente: è una sfida con se stessi, che senso ha barare?)

Gli ultimi dubbi sull'accettare o meno la sfida sono stati spazzati via da pronostici e statistiche riportati sul sito ufficiale: pare infatti che i partecipanti vittoriosi abbiano ottenuto grandi gioie, buon umore e complimenti, si siano innamorati e abbiano vissuto un'impennata di ottimismo senza precedenti!
Dopo aver subito ogni possibile angheria dal karma e fidandomi ciecamente del saggio Paolo (Fox, ndr), che per questo 2014 prevedeva grandi cose per gli Arieti, ho deciso di non sfidare ancora la sorte: arrivavo da mesi senza un vero lavoro, zoppicante e stampellata (con un po' di osso in meno e qualche pezzo di metallo in più), con un corso da frequentare dalla parte opposta della regione e con una storia appena iniziata [che quando una storia inizia non sai mica come va, e bisogna fidarsi, con tutti i rischi del caso - e visti i miei precedenti mi giustificherete un po' di ansia e pessimismo - e bisogna buttarsi e incrociare le dita sperando di cadere sul morbido]... se si poteva dare una spintarella al destino e far girare le cose nel verso giusto, perché lasciarsela sfuggire? 

Così, per oltre tre mesi ho stressato chiunque si trovasse nei miei paraggi con questa storia, e anche se alcuni giorni la ricerca è stata un po' forzata devo ammettere che il solo fatto di dover trovare qualcosa di positivo in ogni giornata mi ha permesso di apprezzare cose che altrimenti probabilmente non avrei nemmeno notato.

Ora, senza che vi facciate troppo i fatti miei (c'è un limite a tutto) e anche se non mi sembra il caso di attribuire tutto il merito a questa sfida, posso dirvi che allo stato attuale:
ho un lavoro part time e sono lì lì per iniziare anche uno stage 
(dopo mesi e mesi di ricerche inutili e colloqui allucinanti 
– con i racconti dei quali vi delizierò in un altro post)

ho passato giornate e serate esilaranti insieme al mio gruppetto di amici 
in grado di rendere speciali anche i momenti più semplici

mi sono buttata e ho trovato qualcuno che mi sopporta 
(e che mi ha regalato uno Sheldon parlante!)

ho ripreso a camminare sulle mie gambe 
(anche se per questo più che i 100happydays dovrei ringraziare la mia fisioterapista)

sono stata al mare sia in inverno che in estate (anche se, a parte un'impennata di caldo durata una decina di giorni, definire questa “estate” mi pare ancora un po' eccessivo) 

sono stata a vedere concerti e bellissimi posti nuovi

e ho re-incontrato vecchi amici, e vecchi amici che sono diventati di nuovo amici, ho scattato belle foto (e altre decisamente meno belle), letto libri, sopportato (almeno un po') i ritardi dei treni perché comunque ne valeva la pena, ho trovato qualcosa di positivo anche nei giorni più difficili e riso tanto
Missione compiuta!




mercoledì 26 febbraio 2014

Trent'anni e non sentirli. (Forse)

Il primo bacio, la prima volta, il primo appuntamento, il primo giorno di scuola, la prima storia seria, il primo lavoro, la prima grossa delusione d'amore, il primo paio di scarpe costose (di solito comprate per rimediare alla prima grossa delusione d'amore. E anche alla seconda), la prima macchina, la prima vacanza con le amiche.
Ci sono diverse “prime volte” nella vita di una donzella, tutte più o meno importanti ed emozionanti.

E poi ci sono le prime volte drammatiche. Quelle che ti fanno assumere la tipica posa da urlodimunch: il primo capello bianco, il primo rinnovo della patente, la prima ruga.
Come dei riti di passaggio, sono quei momenti in cui ti senti una giovanevecchia, perché l'età anagrafica è ancora dalla tua parte - magari devi ancora superare i trenta - ma cominci a notare tutti quei segnali che ti fanno sentire improvvisamente incredibilmente anziana.

Eccone qualcuno basato sulla mia personalissima esperienza.
[Ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale]
[Nessuna giovanevecchia è stata maltrattata per ottenere queste informazioni]


- Tra meno di due mesi compio 29 anni. E sarà l'ultima volta che avrò il 2 davanti nella mia età.
A meno che non arrivi a compierne 200.

- Capita sempre più spesso che qualcuno (giovani o vecchi non fa differenza) per strada mi appelli con un “mi scusi”.
Mi scusi?!

- “La sera leoni, la mattina coglioni” è un simpatico modo di dire che sta acquisendo sempre maggior significato. Bello far tardi il venerdì sera, andare a ballare, uscire dal locale e andare a sfondarsi di cornetti caldi e bomboloni pieni di crema. Salvo poi passare tutto il sabato in uno stato di coma profondo, aggirandosi per casa con la stessa espressione da zombie disperato e strizzando gli occhi di fronte a troppa luce.

- Rimanendo in tema “serate gggiovani”, sono diventata incredibilmente insofferente alla troppa gente accalcata che spintona e ti sta addosso. Chiaro segnale dell'età che avanza.
E poi vi è sicuramente capitato di arrivare in un qualunque locale, guardarvi attorno e notare che la maggior parte dei presenti ha in media 6/7 anni in meno di voi.

- Il rinnovo della patente. Il giorno che realizzi che sono già 10 anni che hai la patente - e quindi 10 anni dai bei tempi della scuola e dei pomeriggi dediti al cazzeggio sfrenato, e adesso volendo puoi anche insegnare a qualcuno col foglio rosa a guidare - è sempre un giorno difficile.

- La bacheca di facebook si popola di foto e status di ex compagni di scuola incinti o che si sposano. Faccioni pacioccosi di bambini, addii al nubilato, abiti bianchi, pancioni. Ovunque.

- Se in radio o in un locale passa “Everybody gets up” dei Five cominci a cantare esultante mentre quelli più gggiovani di te di guardano come se fossi scema. E se gruppi storici come i Backstreet Boys o gli 883 annunciano un concerto sei in prima fila il giorno che aprono le prevendite per comprare il biglietto e ti sembra di partecipare ad un evento di rilevanza mondiale.

[A proposito, a vedere Max io c'ero!]

sabato 18 gennaio 2014

Back to the 90s

È ufficiale!
È la notizia del giorno [dell'altro ieri in realtà, ma non ho avuto tempo di aggiornare il blog]: il Winner Taco è tornato!
Non si sa ancora quando verrà rimesso in commercio, ma intanto milioni e milioni di persone si stanno preparando a spendere centinaia di euro per quel meraviglioso gelato col caramello, misteriosamente ritirato dai banchi frigo dei bar diversi anni fa.
Bè ok...magari non proprio milioni e milioni di persone. Fatto sta che, a meno che non si tratti di un'abilissima mossa commerciale by Algida, il ritorno del Winner Taco rappresenta una grande vittoria per tutti quegli utenti web che si sono riuniti in gruppi e pagine facebook (questo il più famoso) chiedendo a gran voce il ritorno del gelato dell'orso polare.

Nei giorni scorsi un Winner Taco gigante è sbucato a Roma, su twitter il famoso gelato confezionato ha scalato rapidamente i trend del giorno, su facebook gli utenti gioiscono e decine di blogger stanno dedicando spazio a questo grande ritorno.
Magari è davvero solo marketing, una mossa studiata a tavolino dagli espertoni Algida. O forse è solo la prima di tante vittorie del popolo web. E' anche molto probabile che ad insistere tanto per il ritorno del Winner Taco sia stato proprio il Social media manager dell'Algida in persona, stufo di vedere vanificati tutti i suoi originali sforzi comunicativi
[ecco qualche esempio di risposte date dai fan sulla pagina facebook dell'Algida]



Onestamente.. a me basta sapere che....Winner Taco is back!
In un “momento-nostalgia”, stavo ripensando alle altre cose della mia infanzia-adolescenza di cui festeggerei il ritorno.
Potremmo riunirci in gruppi e combattere tutti insieme per riavere anche...:

il Festivalbar
Ma che fine ha fatto?!
Era l'evento dell'estate: un mucchio di cantanti e gruppi che allietavano le serate afose cantando rigorosamente in playback. Il suo ritorno andrebbe di pari passo con l'immancabile compilation in 4 volumi da ascoltare e riascoltare fino allo sfinimento.
E se proprio non vogliono ridarci il Festivalbar...che ne dite del Karaoke?

Gira La Moda
Non so voi, ma io lo adoravo. Colori, stili, l'illusione di saper disegnare davvero... Enzo&Carla sarebbero stati fieri dei miei abbinamenti. Adesso no, probabilmente inorridirebbero aprendo il mio armadio: troppe t-shirt e decisamente pochi tacchi.

Le audiocassette
Vogliamo parlare dell'impegno e della fatica richiesti per fare una compilation prima dell'avvento dell'mp3?
Dall'attesa di una canzone alla radio per far partire la registrazione (arcaica versione del download) agli insulti quando si scopriva che non c'era abbastanza spazio in fondo al Lato A della cassetta per farci stare tutta una canzone.. quanti ricordi!

Le boy band
Mica quei quattro (o cinque, non mi ricordo mai quanti sono) giovincelli dei One Direction. Parlo di gruppi veri: Backstreet Boys, Boyzone, Take That, NSYNC.

Il Mio Caro Diario
Altro che stalking su Facebook o divertenti aggiornamenti via Twitter... volete paragonare i moderni social network alla possibilità di sapere in tempo reale l'affinità di coppia con il vostro amato?!

venerdì 1 novembre 2013

Fermo per manutenzione

Breve annuncio: ho cambiato nome al blog (di nuovo). In fin dei conti non sono più in Francia da un po', l'"anno nuovo – vita nuova” è quasi finito e quindi insomma, è anche ora.
Ho sempre avuto un rapporto difficile e conflittuale con il dover dare un titolo a qualcosa, dai temi scolastici agli articoli scritti nella mia breve carriera da giornalista d'assalto, figuriamoci dover racchiudere in pochi caratteri tutto il caos che c'è qua dentro.
Citazioni famose? Qualche parola di una delle mie canzoni preferite? Un insieme casuale di lettere e numeri? In italiano comprensibile ai più o in inglese perché è più figo?
E che fare se la grande idea è già stata utilizzata?

Considerando gli ultimi avvenimenti, i cambiamenti più o meno radicali, le scelte fatte, i fallimenti e i nuovi cambi di rotta, sento molto mia questa frase:
 [Già citata anche in questo post]

Positività apppalla insomma. It's the only way.
Ma ci sta: il mio grande piano di fuga dall'Italia (che prendeva forma più o meno un anno fa in questo periodo) non ha funzionato. Ora vediamo cosa hanno in serbo per me le altre 25 lettere.

Detto questo:
No, non il blog. Quello funziona benissimo, anche se non scrivo da un mese e mezzo. 
Io sono ferma per manutenzione. Dopo essermi frantumata un ginocchio cadendo con lo scooter appena comprato dopo un incontro ravvicinato con il bauletto di un altro motorino. Molto bene.
E così, poco più di un mese fa ho scoperto l'esistenza di un osso chiamato piatto tibiale, e di quanto sia frequente romperselo cadendo in moto o sciando.
Ah, e anche di quanto sia complicato rimettersi in piedi poi.

“Incidente col motorino ma sto bene, tranquilli! Al massimo una botta, non penso di essermi rotta nulla” - questo il messaggio mandato agli amici subito dopo.
Non penso di essermi rotta nulla. Devo decisamente rivedere le mie conoscenze ortopediche. Infatti la lastra non ha fatto che confermare lo sfigatissimo destino a cui stavo andando incontro: intervento e ricovero, 30 giorni di riposo con tutore rigido (solo per iniziare), stampelle, indefinitonumero di settimane senza poter fare praticamente nulla.
Mooolto bene.

Quale sia esattamente il piatto tibiale, o dove mi siano stati impiantati i componenti del mio bellissimo nuovo e portentoso ginocchio bionico, non è dato sapere. Sembra quasi che i medici custodiscano chissà quale segreto e non vogliono sbilanciarsi troppo in spiegazioni. Grazie, bravi! Così uno appena entra in possesso di un pc e di una connessione si butta su google alla ricerca di risposte.
Grosso errore.
In ospedale poi ho scoperto una varietà incredibile di casi umani: da quello che minacciava il suicidio se non l'avessero lasciato fumare alla vecchiotta new age con entrambe le gambe rotte che rifiutava i farmaci. Solo per fare qualche esempio.
Tornata a casa invece ho scoperto quanto diventino difficili anche le più piccole cose quando si è obbligati a spostarsi con le stampelle e una gamba rigida: spostare oggetti, vestirsi, sedersi sul gabinetto, fare la scale (soprattutto se la camera al primo piano), dormire in salotto (non potendo salire le scale) con un gatto affamato e miagolante dalle 6 del mattino e componenti vari della famiglia che si svegliano – o vanno a dormire – agli orari più assurdi, lavarsi i capelli o rendersi presentabili, uscire dovendo selezionare accuratamente il locale in base ad accessibilità, presenza di gradini e caratteristiche delle sedie, e – citando mio fratello – dovendo essere caricata in macchina “come un mobile Ikea”. E così via. Il fisioterapista in ospedale insegna i “passi base”, ad alzarsi dal letto, raggiungere il bagno e sedersi a tavola, ma tutto il resto è rallentato o complicato, e nemmeno Santo Google è troppo d'aiuto in questo caso: ci vorrebbero dei siti specializzati in “stampelle: istruzioni per l'uso” con video tutorial su come sopravvivere con sti trampoli.
E arriva, inevitabile, l'insofferenza. La noia. Il fastidio.
Peggio del dolore fisico (pressoché inesistente fortunatamente) c'è quello stato di irritazione e nervosismo causato dall'essere bloccati sul divano quando fuori c'è il sole (soprattutto quando, per la prima volta da anni, l'estate prosegue anche per tutto settembre regalando bellissime giornate calde). E dal dover dipendere sempre da qualcuno anche per la più piccola cosa. E dall'invecchiare precocemente ritrovandosi a far la maglia per passare il tempo.

L'unica soluzione possibile è rimanere positivi

e, soprattutto, smetterla di fare acquisti online. 
Amazon è il male assoluto e il corriere ormai è mio amico.

Ci tengo comunque a ringraziare anche qui tutte quelle persone che negli ultimi oltre 40 giorni hanno contribuito a rendere meno pesante la mia permanenza obbligata prima in ospedale e poi nel salotto di casa.
E in particolare per... le risate e il supporto nei momenti più difficili, la musica con cui addormentarmi, i cioccolatini, i fiori, le chiacchiere e i film, il gelato di straforo, le cene e la grande organizzazione per portarmi al cinema, i pomeriggi di sole in stile badante-nonna, il countdown, i soprannomi e la stampellata finale nel corridoio dell'ospedale accompagnata da Galeazzi e dalla colonna sonora di “Momenti di gloria”.


lunedì 16 settembre 2013

Wake me up when September ends

Settembre è un mese difficile. Finisce l’estate, e anche se fuori fa ancora relativamente caldo il meteo troppo spesso preannuncia scenari apocalittici di vento e pioggia che non invogliano ad andare al mare; e poi fa troppo freddo per fare le ore piccole nei locali estivi all’aperto senza pagarne le conseguenze il giorno dopo con mal di testa e abbassamenti di voce [anche se quello forse non dipende tanto da settembre, quanto dalla nostra età non-più-tanto-gggiovane]. Finiscono le ferie, si torna a lavorare (chi lavora), ricominciano le scuole (il che coincide con orde di insopportabili ragazzetti con enormi zaini che si aggirano ovunque), ricominciano inutili programmi in televisione [ma ricominciano anche i millemila telefilm in diretta dagli States!], finiscono i saldi e le vetrine pullulano di maglioni sciarpe e cappotti. Tra pochissimo poi i negozi saranno pieni di decorazioni natalizie e le strade saranno popolate da persone che diranno cose tipo “sembra ieri che giravamo in costume, ormai è già Natale!”.
Meglio non pensarci.

Per me settembre poi ha coinciso con la fine del mio lavoro estivo da gelataia, e di conseguenza con il ritorno allo status di disoccupata. Molto bene. Si ricomincia con l’invio massivo di cv, colloqui e secondi colloqui dove sembra che il posto sia ormai assicurato ma poi “grazie eh, sei perfetta ma prendiamo qualcun altro”.
E per il secondo anno consecutivo poi, settembre per me ha coinciso con una serie di tagli – di capelli, di persone. Si dice che se una donna si taglia i capelli è perché vuole cambiare qualcosa della propria vita. Odio le frasi fatte (noncisonopiùlemezzestagioni, ahigiovanidoggi, sistavameglioquandosistavapeggio, ègiàNatale), ma non posso negare un certo fondo di verità almeno in questa.

Comunque, questo è l’ennesimo post assolutamente inutile che pubblico, ma mi andava di scrivere e se siete capitati qua ve lo siete cuccato.
E quindi beccatevi anche questa lista di #cosedicuinonimportanullaanessuno:

- gli umarells sono in grado di ballare davvero qualsiasi cosa con i passi dell’alligalli. Nei due mesi passati a lavorare accanto a una allegrissima balera, li ho visti fare gli stessi identici movimenti (sempre con ritmo e stile, obviously) su un improbabile remix di canzoni degli 883, con dei balli latinoamericani e addirittura con il gangam style!
- da giorni continuo a sentir parlare di o a vedere post sul Winner Taco: mi aggrego alla folla per chiedere che ritorni in produzione, lo adoravo!

- prima del caffè io al mattino non esisto: quella che si aggira per casa ha le mie sembianze, ma penso si tratti di un ologramma.
- se dici al parrucchiere di tagliare, lui taglierà. Tanto.
- il cannolo siciliano prima di andare a dormire mi fa venire gli incubi, dovrei ricordarmene la prossima volta che passerò alla Festa dell’Unità e vorrò prenderne uno (ma tanto poi lo prenderò lo stesso)
- se arrivi in ritardo a un concerto, poi non puoi scartavetrare le palle a tutti quelli vicino a te mentre urli cercando di convincere il cantante a cantare una canzone che ha già cantato
- i GemBoy ci piacevano di più prima che Colorado Cafè li commercializzasse così tanto
- se le donne stanno sedute un po’ in punta sullo scooter non è sempre per far le fighette altezzose, come invece sostengono gli amici motociclisti: nel mio caso è perché se sto troppo indietro sul sellino, poi non arrivo a toccare per terra quando devo fermarmi al semaforo (problemi da #diversamentealta)
- Paolo Fox SA

sabato 20 luglio 2013

Di whatsapp e altri social (ovvero: l’amore ai tempi di facebook)

L'idea per questo post mi è venuta dopo aver visto questa immagine qualche giorno fa:
Da quasidisoccupata/gelataia squattrinata è meglio se evito di partecipare a un giochino come questo: rischierei di perdere e mi toccherebbe offrire la cena ai presenti.
Non so voi.. ma io sì, lo ammetto, sono una di quelle persone che usano tantotantotantissimo facebook, whatsapp e social vari&eventuali [in fin dei conti, sto cercando anche di farne un lavoro: se non mi piacessero i social network sarebbe decisamente controproducente].

Il primo cellulare per me fu una conquista: all’epoca lo avevano quasi tutti i miei amici, ma io no. Papà non voleva, pensava non mi servisse (e aveva obiettivamente ragione - ma non diteglielo) ma io ero esclusa dallo scambio di sms tra amici ed era una cosa che mi infastidiva non poco.
Dal primo cellulare al mio ultimo smartphone il passo non è stato poi così breve in realtà, ma un bel giorno anche io ho abbandonato il mio super resistentissimo e indistruttibile Nokia (sì, quello comprato più che altro perché aveva Snake!) per passare a qualcosa di più tecnologico, da vera social addicted.
E via di app: twitter, facebook, instagram, whatsapp, quella per modificare le immagini, qualche giochino stupido, gli astri di Paolo Fox, la meravigliosissima frusta...
(se non avete presente cosa intendo, guardate l'uso che ne fa Sheldon. E se non sapete chi è Sheldon, shame on you!)

Bello eh, adesso possiamo raggiungere tutti i nostri amici in ogni momento del giorno o della notte, e abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: il caro e vecchio sms? Una faccina su whatsapp? Una cazzata condivisa su facebook? C’è poi chi sceglie l’innovativo linkedin (probabilmente ha qualcosa da nascondere e sa che lì non corre pericoli) e chi lo smartphone non sa nemmeno cos’è e si affida alle tradizionalissime telefonate (non estinguetevi, vi prego!)
[un discorso diverso va fatto per Skype, che nei miei 5 mesi di isolamento francoangloamericano mi ha salvato in diverse occasioni permettendomi di rimanere in contatto – e fare ovviamente l’idiota via webcam – con friends&family]

Da brava laureata in comunicazione, con mille esami di sociologia sulle spalle (e un sacco di tempo libero, evidentemente) mi sono ritrovata a riflettere sulla qualità delle conversazioni via facebook o whatsapp, che il più delle volte muoiono così come sono iniziate: senza saluti, con una delle persone coinvolte che a un certo punto sparisce negli abissi della virtualità senza sentire più l’esigenza di rispondere, e basta. Finita lì.
Il fenomeno opposto è caratterizzato invece da conversazioni che durano giorni e giorni, in un loop senza fine, ricominciate a più riprese e un po’ a caso ogni qualvolta una delle persone coinvolte si connette. 
O si annoia.

È tutto più facile, adesso. Possiamo nasconderci dietro uno smile (whatsapp poi ci regala millemila faccette, animali, macchine, cibi, cose varie da inviare) per fare i simpatici e far vedere a qualcuno quanto siamo divertenti e spigliati. Salvo poi regalare pessime e imbarazzanti figure “dal vivo” (eh già!).
È tutto più facile….
O forse no?!
Quante volte siete rimasti delusi sentendo il telefono suonare, sperando fosse qualcuno in particolare e scoprendo di essere decisamente fuori strada?
Parliamo poi della geniale scelta di Mr.Facebook di introdurre nei messaggi il “visualizzato alle”, che ci ha tolto la possibilità di leggere e non rispondere, fingere di non aver ricevuto il messaggio, prenderci il tempo di pensare benebenebene a cosa rispondere, senza passare per scortesi o antipatici o maleducati o stronzi.
Già, perché adesso ci si aspetta che la persona interpellata risponda subito.
E quante volte avete controllato su whatsapp l’orario dell’ultimo accesso di qualcuno di cui aspettate una risposta? Su, ammettetelo. Io mi assumo le mie responsabilità, e ho un bell’elenco di amici che sa di cosa sto parlando (tranquilli, non farò nomi. Voi tanto lo sapete di chi sto parlando!)
E così, via a paranoiche esternazioni del tipo “L’ha visto e non mi risponde. Ecco, lo sapevo! Perché non mi risponde? Perché non mi scrive?”. E in un universo fatto di inutili e insignificanti “mi piace”, cerchiamo di attribuire un valore o un senso a quello di qualcuno per cui noi vorremmo che significasse qualcosa [rassegniamoci, di solito non è così!]

Da questo punto di vista, whatsapp e facebook hanno ribaltato alcune delle regole basilari del corteggiamento, rendendo sicuramente molto più facile iniziare delle conversazioni eliminando la paura di rimanere in silenzio attaccati alla cornetta del telefono senza sapere cosa dire. Ma allo stesso tempo tolgono la possibilità di conoscere qualcuno con calma. Una "rapida occhiata" al profilo facebook di chi ci interessa ci permette di sapere (quasi) tutto subito: i posti frequentati, la musica ascoltata, lo stato sentimentale e anche quello di salute, le usanze alimentari, gli spostamenti. Che non equivale sicuramente a conoscere qualcuno, ma ci fa partire con un background di inferenze che non sempre (anzi, quasi mai) corrispondono alla realtà.

Per toglierci ogni dubbio sul “l’ha visto e non mi risponde o non l’ha visto?”, i gestori di whatsapp hanno ritenuto necessario creare una pagina FAQ per spiegare il significato dei simbolini di fianco ai messaggi che inviamo e per i quali restiamo in trepidante attesa di una risposta.
Mi ha fatto un po’ ridere vedere come ultima motivazione possibile fornita “Forse ti hanno bloccato”.
Eh, forse sì. Fatti delle domande!
In certi casi sarebbe anche una scelta comprensibile e condivisibile.

Sia chiaro, questo non è un post di critica: io per prima faccio un uso smodato dei social network. Sono solo considerazioni (basate su fatti realmente accaduti, e non solo a me) di una nostalgica, che unmeglionondefinitonumero di estati fa, in vacanza al mare, si metteva in fila sotto il sole davanti alla cabina telefonica armata di scheda da 10mila lire (le lire, c’erano ancora le lire -.- ) per sentire il fidanzatino dell’epoca, chiamandolo a casa col rischio che a rispondere non fosse lui ma il padre, la madre, la nonna o il gatto.
E che adesso, se sa che deve stare fuori tuttoooo il giorno, infila in borsa anche il caricabatterie del cellulare, perché “mettichemiserveperun’emergenzaedèscarico?”.


lunedì 1 luglio 2013

Non importa se vai avanti piano..

..l'importante è che non ti fermi!


Ho letto questa citazione (Confucio docet) qualche giorno fa e mi sembra che caschi proprio a pennello.
Un anno fa, più o meno in questi stessi giorni, prendevo in mano la prima cialdina e la riempivo di gelato a spatolate. Un lavoretto estivo grazie al quale mi sono divertita, ho conosciuto gente, ho messo su un paio di chili e fatto arrivare alle stelle i miei livelli di colesterolo. Quest'estate ripeto l'esperienza: cialde e coppette, gelato e granite, spatole, vaschette di pistacchio da ripulire in compagnia a fine serata, strani umarells con strane storiecheavreipreferitononsapere.
D'altronde, laurea o non laurea, non posso certo star qui e aspettare che qualcuno mi prenda per un lavorovero, e mentre attendo news dall'ennesimo "Le faremo sapere" vado a lavorare per gente che almeno umanamente mi ha sempre trattata come una persona.

La sensazione che ho avuto la prima sera, dietro al banco dei gelati, è stata.. strana, diciamo così. Mi sembrava quasi di aver lavorato lì fino alla settimana prima, non che fosse già passato un anno. Non so se per la stessa atmosfera di festa (e che festa.... una piccola piccolissima festa dell'unità, che poi senza gioco dei tappi che festa dell'unità è?!) o se perché lavoro di nuovo più o meno con le stesse persone. Ma non so bene come interpretarla, questa cosa: negli ultimi mesi sono andata letteralmente dall'altra parte del mondo, per poi tornare e ritrovarmi praticamente al punto di partenza.
Ok ok, ho visto e fatto tante di quelle cose da essermi guadagnata un background di esperienze niente male, è vero e non lo posso negare. Ma sta di fatto che -un anno dopo- sono messa sempre più o meno uguale a prima.

Comunque, riprendendo Confucio e le perledisaggezza... vado piano, giro in tondo, ma intanto vado. Sul "dove" stia andando preferisco non esprimermi.

Pensieri sparsi e considerazioni:
- credevo davvero che, in media, i brasiliani fossero più alti
- crollano i miei grandi progetti estivi: altro che viaggetti, mare e weekend da amici vari; i pochi soldi che riuscirò a mettere da parte quest'estate li spenderò per  comprarmi (se ci riesco) un mezzodilocomozione di terza o quarta mano e probabilmente per un pc nuovo, visto che nel mio portatile il monitor ha deciso di divorziare dalla plastica di supporto
- fortunatamente, l'orribile moda di quest'anno fatta di colori fluo e maglie informi, mi impedirà di sperperare i miei pochi averi. Meglio comunque limitare i giri in centro con i saldi...
- adesso che sono tornata in Italia, dovrei forse cambiare il nome al blog. Si accettano suggerimenti!
- "un gelato al giorno toglie il medico di torno". O forse no?
- mai, mai, MAI, dare il vero numero di telefono ai sorridentissimi addetti delle palestre Virgin: mi stanno chiamando più spesso loro con offertebazzachenonpotrairifiutare [e che puntualmente rifiuto] di quanto farebbe un fidanzato geloso con manie di controllo.